
Il caso analizzato dalla Corte di Cassazione riguarda un’insegnante alla quale era stato negato il rinnovo del proprio contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una scuola paritaria ex L. n. 62/00 gestita da un Ordine religioso in virtù del proprio orientamento sessuale.
La Corte di Cassazione rilevando che risultava accertato nei primi due gradi di giudizio la discriminazione subita dalla lavoratrice in virtù del proprio orientamento sessuale ha condannato l’Istituto religioso al risarcimento dei danni subiti dalla stessa sia patrimoniali (euro 13.329,00) che non patrimoniali (euro 30.000,00) ed ordinato la cessazione della condotta discriminatoria.
Infatti, lo Statuto dei lavoratori (L. n. 300/1970) all’art. 15 comma 2 prevede che sono nulli gli atti del datore di lavoro con i quali lo stesso abbia discriminato il lavoratore anche sulla base del proprio orientamento sessuale.
L’art. 28 comma 5 del D.Lgs. n. 150 del 2011 prevede che con l’ordinanza che definisce il giudizio relativo agli atti discriminatori, una volta che il compimento degli stessi risulti accertato, il Giudice puo’ condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale ed ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio pregiudizievole.
In particolare, con riferimento al danno non patrimoniale la Suprema Corte ha stabilito che “in materia di liquidazione del danno non patrimoniale, costituisce oramai regola di diritto vivente la ristorabilità della lesione di valori costituzionalmente garantiti, dei diritti inviolabili e dei diritti fondamentali della persona, in particolare dei diritti all’integrità psico-fisica e alla salute, all’onore e alla reputazione, all’integrità familiare, allo svolgimento della personalità ed alla dignità umana; la non patrimonialità – per non avere il bene persona un prezzo – del diritto leso, comporta che, diversamente da quello patrimoniale, il ristoro pecuniario del danno non patrimoniale non può mai corrispondere alla relativa esatta commisurazione, imponendosene pertanto la valutazione equitativa (per tutte: Cass., SS.UU. n. 26972 del 2008); […omissis] “orbene la Corte distrettuale ha diffusamente argomentato nella sentenza impugnata (pagg. 61, 62, 63) sulle fonti del convincimento che l’hanno portata a concludere che “in ragione della gravità della discriminazione e del discredito connesso alle dichiarazioni diffamatorie si ritiene di liquidare a titolo di danno non patrimoniale la somma di euro 30.000,00”, con un percorso motivazionale che tiene adeguatamente conto che l’atto discriminatorio è lesivo della dignità umana ed è intrinsecamente umiliante per il destinatario e che sorregge adeguatamente l’esercizio del potere discrezionale di valutazione equitativa, idoneo a precludere l’annullamento della sentenza impugnata così come richiesto dal ricorrente Istituto”.
Pertanto, come detto, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dall’Istituto scolastico religioso e confermato la sentenza della Corte d’Appello anche con riferimento alla condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dalla lavoratrice a seguito della discriminazione ed all’importo liquidato.
Avv. Salvatore Astuto
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